Quando la frontiera diventa fluida
L’intensificazione degli scambi, la crescente integrazione economica globale, e l’apparizione di entità politiche sovranazionali hanno mutato in modo importante il ruolo della frontiera. Dalla frontiera fissa, linea di demarcazione netta attraversando la quale cambiava tutto, siamo passati alla frontiera fluida, i cui parametri sono oggetto di negoziati e trattative.
Il tema è stato affrontato nella seconda serata proposta da Coscienza Svizzera a Mendrisio, dedicata alla domanda: Quali frontiere in un mondo globale? La ramina del tempo che fu ha lasciato ormai il posto agli spazi funzionali, ha sottolineato il prof. Remigio Ratti, presidente di Coscienza Svizzera.
Se il potere istituzionale si esprime ancora dentro le le tradizionali linee di frontiera, in altri settori, come quello economico, le frontiere sono state in gran parte ridefinite: basti pensare alla libera circolazione delle persone che ha creato un mercato comprendente ormai quasi tutti i paesi europei. Gli effetti frontiera ne risultano stravolti.
Il territorio insomma non è più l’unico punto di riferimento. Per il Ticino, abituato dal secondo dopoguerra ad approfittare delle rendite differenziali e delle rendite di posizione generate dalla frontiera, questo dato di fatto comporta importanti mutamenti, che sono all’origine della situazione di incertezza attuale.
Lo scrittore Sergio Roic ha esortato a non aver paura dei processi in corso. I flussi, di idee, di capitali, di persone, oggi non rispondono più ad una logica di territorio: il globale arriva dappertutto. Si aprono orizzonti nuovi, di cui bisogna riconoscere il potenziale, specialmente in una regione ricca di risorse come quella insubrica.
Ma la classe politica è in grado di affrontare e gestire questi cambiamenti? In merito il politologo Oscar Mazzoleni ha espresso forti dubbi. Il processo di integrazione ha ridotto i margini di manovra decisionali dei Cantoni, e anche il governo federale è sempre più condizionato, nella sua autonomia, dalla necessità di rispondere alle richieste dell’Unione europea.
È quindi difficile, per la classe politica, affrontare l’incertezza socio-economica generata dal processo di integrazione transnazionale. Da ampi strati della popolazione, soprattutto in Ticino, questo processo viene vissuto come un pericolo per il benessere acquisito, e in parte lo è veramente, basti pensare alla pressione sui salari.
La frontiera mobile insomma alimenta ambivalenze e contraddizioni a cui si dovrebbe rispondere con un progetto condiviso. Ma l’incertezza non è destinata a sparire tanto presto, e probabilmente non è solo colpa dei politici: il cambiamento è in corso, ma al momento nessuno ne conosce la direzione, e tantomeno l’esito.
Michele Andreoli
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