Prestiti delle banche ticinesi alle imprese lombarde: avviato il progetto della Regio Insubrica

Nell’Insubria italiana esiste e resiste, nonostante la crisi, uno dei tessuti economici più vivi e innovativi al mondo. In Canton Ticino invece si è sviluppata la terza piazza finanziaria svizzera e quindi, anche qui, si è ai vertici globali per liquidità e capitali a disposizione. Eppure fra le due realtà, a parte per le operazioni legate ai capitali in nero, il confine è sempre stata una sorta di muro di Berlino. Ora il sistema aziendale dell’Insubria italiana sta vivendo un periodo di problemi legati soprattutto al credito e il sistema bancario ticinese si trova a dover rivedere il proprio modello di business. Ma soprattutto il contesto normativo delle due realtà economiche tende a uniformarsi. In questo scenario, ieri mattina, la Regio Insubrica ha presentato i risultati dello studio “La banca ticinese e l’impresa del Nord Italia – Opportunità d’integrazione transfrontaliera”. Un progetto dove, finalmente, l’ente italo-ticinese ha affrontato uno dei temi caldi legati alla frontiera: denari veri. E tanti. I due autori René Chopard e Gioacchino Garofoli hanno analizzato la situazione esistente e hanno proposto delle soluzioni che, ora, le parti in causa potranno decidere se prendere in considerazione o meno.

Per esempio, una delle novità emerse dalla ricerca ipotizza la sottoscrizione di convenzioni fra le banche ticinesi e i Confidi italiani: “Tali accordi – ha detto Garofoli – permetterebbero agli istituti di credito di poter disporre di importanti garanzie con una copertura fino all’80% di eventuali perdite e addirittura al 100% nel caso di finanziamenti a imprese localizzate nel Canton Ticino, la cui casa madre si trova in Italia. La presenza dei Confidi, inoltre, possono fornire il proprio rating interno e condividere con la banca una conoscenza sufficientemente approfondita dell’impresa richiedente, visto che la Svizzera oggi non può accedere allo strumento della Centrale dei Rischi”.

Vi è poi la questione della Lps (la Libera prestazione di servizi) parziale: “Paradossalmente – ha affermato Chopard – in questo caso non è tanto legato alla difficoltà di poterla ottenere, ma alla mancanza di una conoscenza relativa alle reali ed effettive facilitazioni alle attività di cross-border che il possesso della Lps parziale permette”. Infine vi sono i dubbi legati alla lentissima giustizia civile italiana, per cui i due studiosi suggeriscono la sottoscrizione di un arbitrato fra le parti al fine di evitare, ove possibile, l’ingresso in gioco dei tribunali.

Ora, secondo lo studio della Regio Insubrica presieduta da Leonardo Carioni e guidata dal segretario Giampiero Gianella, ci si deve muovere su tre fronti: culturale, istituzionale e commerciale: “A breve termine – ha aggiunto Garofoli – bisogna organizzare eventi, corsi di formazione e pubblicazione per favorire l’attività di cross border. Inoltre sarebbe il caso che banche e imprese scegliessero le parti del modello di Hausbank con l’integrazione fra private banking e corporate finance e che si sviluppasse un’antenna informativa sul mercato a favore delle banche e, infine, che si creasse un sito web sui servizi finanziari disponibili”.

Vi sarebbe poi da affrontare l’annosa questione dell’accordo fiscale italo-svizzero, dove si tenga conto anche dalla facilitazione della withholding tax (la tassa introdotta in Italia per disincentivare le operazioni di banche estere). “Solo così – ha Chopard – la domanda di crediti delle imprese italiane e l’offerta di gestione patrimoniale delle banche ticinesi potranno coagularsi in un wealth managament cross-border dove corporate finance e private banking si possano integrare armoniosamente cosicché la Regio Insubrica, oltre a essere uno spazio geografico, diventi un vero spazio economico-finanziario”.

Le reazioni alla possibilità di un accordo sono state timide da parte ticinese e più entusiaste da quella italiana. Sono di questo tono i primi commenti relativo alla possibile collaborazione impresa-banche sull’asse Milano-Lugano. “Per noi – ha affermato Claudio Generali, presidente dell’Associazione bancaria ticinese – i rischi sono grossi. Servirebbe attivarsi per una mole ingente di accantonamenti ma, prima, l’Italia deve compiere delle riforme per diventare più attrattiva. Il problema più grande è legato alla giustizia: “Se qualche iniziativa di credito – ha aggiunto Generali – dovesse andar male, si rischia che il contenzioso possa durare anche otto anni: un’iradiddio. Non riusciamo a capire quali lobby non vogliano una riforma per snellire i procedimenti civili: gli avvocati? I magistrati? Anche Renzi ha detto di voler intervenire: ci riuscirà?”. Vi sono poi altre questioni: “Soltanto una banca svizzera è riuscita a lavorare in Italia senza problemi. Forse ha dei santi in paradiso. Come svizzeri, poi, non si capisce perché dovremmo guardare all’Italia quando a causa dell’azione di Tremonti, pur avendo frequentato intensamente la Confederazione, la Svizzera è ancora nella blacklist tricolore. Forse, quindi, è meglio fare business con la Germania. E poi, senza aver accesso alla Centrale dei Rischi, non possiamo conoscere lo stato di salute delle aziende italiche”.

Per ora le banche ticinesi, in attesa anche dell’accordo fiscale fra i due Paesi, ci va coi piedi di piombo. Più ottimista, invece, il versante prealpino: “Si potrebbe iniziare con dei rapporti di affari fra le banche ticinesi – ha affermato Dario Galli, commissario della Provincia di Varese – e una cinquantina di aziende lombarde iper certificate sul loro buon stato di salute. E’ vero che l’Italia ha 155 miliardi di insolvenze verso gli istituti di credito, ma le imprese lombarde interessate, sono sicuro, rappresentano una percentuale minima. Inoltre in Italia i tassi sul credito sono alle stelle e c’è un buon margine di guadagno: insomma, le banche svizzere possono prenderselo qualche rischio”.

Nicola Antonello