“Proibito assumere ticinesi nella mia azienda”
Frontalieri con gli stipendi tagliati, altri che rischiano il posto. Da venti giorni, vale a dire da quando la Banca nazionale svizzera ha sganciato il cambio fra franco svizzero ed euro e la moneta europea è crollata, in Canton Ticino è scattato letteralmente il panico. Qualcuno ha già vissuto sulla sua pelle le conseguenze di questa decisione con salari abbassati e la prospettiva di dover subire le decisioni aziendali. Pena: restare a casa.
Sulla questione Confapi Varese (l’associazione delle piccole e medie imprese) ha ospitato ieri sera (4 febbraio) un convegno dove il principale relatore è stato Giovanni Coda, ingegnere ed economista aziendale, fondatore della società di consulenza Adoc Consult. Il curriculum di Coda dà grande autorevolezza agli scenari che ha ipotizzato: direttore in due holding internazionali, più tardi, in proprio, ha ristrutturato una multinazionale media e parecchie pmi. Nel 1999 ha fondato due industrie, una in Svizzera e l’altra in Brasile. Nell’impresa elvetica nei posti di comando aveva assunto e poi insediato un croato, un siciliano e un insubrico: “Nella mia azienda – ha detto il consulente italo-svizzero – era vietato assumere ticinesi. I frontalieri sono più qualificati e fedeli”. A parte la battuta su ticinesi e italiani che farà sicuramente discutere, Coda ha avanzato alcune ipotesi sul futuro nel medio e lungo periodo a seguito della fluttuazione del crollo dell’euro sul franco. “In Svizzera i settori che subiranno di più questa decisione sono turismo, cambisti, artigiani di confine, il commercio e chi esporta, mentre potrebbe esserci un boom per l’immobiliare e per i comparti alti della finanza”.
Da questi comparti, gli imprenditori potrebbero decidere di reagire con azioni che in parte, si stanno già realizzando: “Alcuni – ha detto Coda – potrebbero mantenere il cambio di prima, oppure ridurre i salari e i prezzi e cercare di acquistare nella zona euro. E ancora: pagare i dipendenti italiani in euro, sostituirli a loro volta con nuovi frontalieri che accettino salari più bassi oppure potrebbe verificarsi un fenomeno di outsourcing verso l’Italia”. Quali sono dunque i consigli per sopravvivere? “Per le aziende elvetiche bisogna cercare di aumentare gli acquisti nella zona dell’Unione europea, chiedendo ulteriori sconti e poi avviare coordinamenti di aziende su export, logistica e acquisti, focalizzando la ricerca di nuovi mercati legati al dollaro che hanno subito meno la situazione del cambio”. D’altra parte potrebbero esserci ripercussioni positive per le aziende italiane di confine: “Un promozione capillare di marketing – ha concluso Coda – potrebbe migliorare l’export verso la Svizzera, soprattutto nei settori dei componenti immobiliari, della metalmeccanica e delle rivendita”.
Nicola Antonello
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