Il 23,1% della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale
Secondo le ultime stime per il 2025, si prevede un rallentamento della crescita economica, che segue un trend già moderato nel 2024. Questo fenomeno è principalmente legato agli effetti delle politiche commerciali internazionali, con previsioni che oscillano tra lo 0,4% (Fondo Monetario Internazionale) e lo 0,6% (Banca d’Italia e Ministero dell’Economia), come segnalato dall’Istat nel suo ultimo rapporto annuale. Tuttavia, le proiezioni per l’anno corrente sono influenzate dalle potenziali evoluzioni delle tensioni geopolitiche globali, che rendono le previsioni altamente incerte. Durante il 2024, l’economia italiana ha mostrato una crescita costante, seppure inferiore a quella di paesi come Francia e Spagna, mentre la Germania ha affrontato una recessione per il secondo anno consecutivo. Nonostante ciò, il mercato del lavoro ha visto un’espansione e si è assistito a un recupero parziale del potere d’acquisto dei salari. Tuttavia, l’aumento dell’occupazione ha portato a una diminuzione della produttività del lavoro. Inoltre, si è registrato un calo dell’inflazione, principalmente a causa della diminuzione dei prezzi dell’energia.
Nel 2024, il miglioramento dei saldi del bilancio pubblico è stato notevole, principalmente grazie alla riduzione dei costi legati al superbonus. Il debito pubblico è aumentato leggermente, a causa del rallentamento della crescita del PIL nominale e dell’incremento degli interessi sul debito. Negli ultimi dieci anni, la crescita economica italiana è stata influenzata da condizioni macroeconomiche generalmente sfavorevoli e da aspetti del sistema produttivo come le piccole dimensioni delle imprese e una modesta innovazione. Recentemente, lo sviluppo di settori ad alta tecnologia ha mitigato questi problemi. Tuttavia, l’Italia continua a soffrire di una carenza di capitale umano qualificato, il che si riflette anche in una minore capacità di adottare tecnologie digitali avanzate. Le proiezioni demografiche prevedono una continua diminuzione della popolazione, con un calo da circa 59 milioni all’inizio del 2023 a 58,6 milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050.
Le dinamiche familiari stanno cambiando, con un aumento delle persone che vivono da sole, delle unioni libere, delle famiglie monoparentali e di quelle ricomposte, mentre diminuiscono i nuclei familiari con figli. Tra il 2023 e il 2024, le persone sole rappresentano il 36,2% delle famiglie, mentre le coppie con figli sono scese al 28,2%. L’aumento dei nuclei di persone sole interessa tutte le età, ma è più marcato tra gli anziani. Circa il 40% delle persone di almeno 75 anni vive da sola, prevalentemente donne. Le famiglie ricomposte e le coppie non sposate rappresentano oggi il 41,1% delle famiglie. Il 63,3% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, un numero che è tornato ai livelli del 2019 ma è aumentato rispetto al 2010. Sul fronte dell’istruzione, si registra un miglioramento dei livelli medi, ma persistono significative disparità rispetto alla media dell’UE. Le competenze digitali, sempre più importanti nel mercato del lavoro e nella vita quotidiana, rimangono insufficienti, specialmente rispetto agli obiettivi del programma strategico dell’UE per il decennio digitale. Nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, con una percentuale del 23,1%, sostanzialmente stabile rispetto al 2023. Le condizioni economiche delle famiglie rimangono quindi precarie.
La povertà assoluta è rimasta stabile rispetto all’anno precedente, ma è in aumento rispetto al 2014. Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica, con un incremento delle persone i cui redditi non sono sufficienti per garantire un adeguato livello di vita. Sul mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto livelli record, l’Italia presenta ancora uno dei tassi di partecipazione più bassi in Europa, specialmente tra giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità. Nel 2024, il reddito reale da lavoro per occupato è più elevato rispetto al 2014, l’anno del minimo dopo la grande recessione, ma più basso del 7,3% rispetto al 2004, a causa della perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, con riduzioni in tutte le classi d’età. Durante lo stesso periodo, l’aumento della partecipazione al lavoro e la riduzione della dimensione delle famiglie, insieme alla maggiore diffusione della proprietà della casa, hanno compensato questa riduzione in termini di reddito familiare equivalente. Le disuguaglianze territoriali rimangono forti, con incrementi significativi dell’occupazione nelle grandi città metropolitane del Centro-Nord, dove anche la popolazione ha continuato a crescere, e minori o negativi in parte del Mezzogiorno e alcune aree del Centro-Nord in declino industriale. Nel 2024, circa una persona su dieci (9,9%) ha rinunciato a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa (6,8%) e per le difficoltà nel pagare le prestazioni sanitarie (5,3%).
La rinuncia alle cure sanitarie è in aumento sia rispetto al 2023 (7,5%), sia rispetto al periodo pre-pandemico (6,3% nel 2019), soprattutto a causa dell’aggravarsi delle difficoltà di prenotazione. Le condizioni di salute presentano segni contrastanti: la speranza di vita alla nascita ha superato i livelli pre-pandemici, ma gli anni vissuti in buona salute si riducono, specialmente tra le donne e nel Mezzogiorno. Il disagio psicologico è in aumento e le condizioni di salute dichiarate dalle persone con disabilità rimangono critiche. Per loro, la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo principalmente gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne. L’uscita dalla famiglia avviene sempre più spesso per andare a convivere; il matrimonio e la genitorialità sono posticipati, o talvolta evitati del tutto; crescono le unioni libere e le famiglie ricostituite. La crescente instabilità coniugale completa il quadro di una transizione demografica in cui i legami familiari si ridefiniscono nel tempo. Considerando la dimensione della sostenibilità, tra il 2005 e il 2024, la produzione di energia da fonti rinnovabili è triplicata. In questo contesto, l’Italia rimane indietro rispetto ad altre grandi economie europee, anche se negli ultimi anni si è assistito a un’accelerazione. Parallelamente, le pressioni generate dal sistema economico sull’ambiente sono diminuite. Tuttavia, i rischi naturali rimangono elevati, anche a causa della maggiore frequenza di eventi climatici estremi.
“Nell’ultimo biennio, le retribuzioni contrattuali hanno iniziato a recuperare in termini reali ma in misura insufficiente a coprire il ritardo maturato negli anni precedenti: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere d’acquisto per dipendente era superiore al 15% alla fine del 2022 ed è ancora pari al 10,0% a marzo 2025”, ha dichiarato il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, in occasione della presentazione del rapporto annuale 2025, alla Camera dei deputati. “Nel confronto europeo, tra il 2019 e il 2024, le retribuzioni lorde di fatto per dipendente in termini reali sono diminuite del 4,4% in Italia, del 2,6% in Francia e dell’1,3% in Germania, mentre in Spagna si è registrato un aumento del 3,9%”, ha aggiunto. “Preoccupante è l’aumento dell’espatrio tra i giovani 25-34enni con una laurea: 21 mila nel 2023, un record storico; il risultato è una perdita netta di 97 mila giovani laureati in dieci anni”, ha sottolineato Chelli, che ha proseguito: “Al primo gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è ormai sotto i 59 milioni. Come più volte ricordato, la diminuzione – in atto dal 2014 – è dovuta a una dinamica naturale fortemente negativa; la natalità continua a calare – nel 2024 si sono registrate solo 370 mila nascite – e la fecondità ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna, sfavorita dalla riduzione del numero di donne in età fertile e dal crescente rinvio della genitorialità”.
“Resta elevata la quota di 18-34enni che continuano a vivere nella famiglia di origine, circa due terzi, contro una media europea del 49,6%. La difficoltà di raggiungere l’indipendenza economica ostacola l’autonomia e ritarda tutte le tappe dei giovani verso l’età adulta, genitorialità compresa”, ha evidenziato il presidente Istat, che ha concluso: “Nel passaggio dalla generazione delle madri a quella delle attuali quarantenni, raddoppia la quota di donne senza figli – dal 13 al 26% –, con un picco di circa tre donne su dieci nel Mezzogiorno. Parallelamente, si riscontra un’accentuata posticipazione dell’età alla nascita del primo figlio, che aumenta la probabilità di avere un numero di figli inferiore alle attese o di non averne affatto. L’età media alla nascita del primo figlio è salita da 25,9 anni per le nate del 1960 a 29,1 per quelle del 1970, con un rinvio ancora maggiore nelle generazioni più recenti”.
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