Goldman Sachs annuncia la cancellazione del suo investimento da 896 milioni di dollari entro la fine del 2024
L’istanza di protezione dal fallimento secondo il Chapter 11 negli USA da parte di Northvolt, azienda svedese produttrice di batterie, ha messo in evidenza le difficoltà dell’Europa nel creare una filiera autonoma per la transizione energetica. Northvolt era vista come un elemento chiave nella lotta alla decarbonizzazione, ma si è trovata ad affrontare debiti per più di 5 miliardi di euro, nonostante avesse raccolto finanziamenti per più di 10 miliardi di euro dalla sua fondazione nel 2016. La società sta cercando di riorganizzarsi, iniziando con la sostituzione del CEO e cofondatore Peter Carlsson. La Commissione Europea, che ha sempre supportato il progetto, ha confermato il proprio impegno a potenziare un ecosistema industriale competitivo, tuttavia la situazione solleva dubbi sull’efficacia delle strategie correnti e sulla sostenibilità di modelli di crescita così ambiziosi in un contesto di forte concorrenza asiatica.
Johanna Bernsel, portavoce della Commissione UE per il mercato interno, ha evidenziato che l’Unione è esposta per 298 milioni di euro attraverso prestiti garantiti dal Fondo europeo per gli investimenti strategici gestito dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Nonostante gli sforzi dell’Alleanza Europea sulle Batterie, che include aziende come il consorzio ACC di Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, la diminuzione della domanda di auto elettriche nel 2024 ha rallentato le operazioni. Fino a due anni fa, Benchmark Minerals stimava che entro il 2030 l’Europa potrebbe raggiungere una capacità produttiva di circa 790 GWh, sufficiente per assemblare quasi 15 milioni di veicoli elettrici.
Secondo Bernsel, il lavoro della Commissione sulle batterie, in particolare nel contesto della European Battery Alliance, è stato un “successo”, con 30 progetti di gigafactory che totalizzano una capacità di 167 GWh, equivalente alla capacità attuale del leader mondiale, la cinese Catl. L’autosufficienza resta una priorità, in linea con il Clean Industrial Deal che sarà presentato nei primi 100 giorni del secondo mandato della Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
Molti dei progetti di gigafactory previsti sono joint venture tra costruttori di automobili e produttori di componenti per batterie. Tuttavia, i tempi si sono allungati e il collasso di Northvolt, iniziato a giugno quando BMW ha annullato un ordine da 2 miliardi, pone interrogativi sulla fattibilità di tali iniziative in un mercato che cambia rapidamente.
Il gruppo Volkswagen, principale azionista di Northvolt con una partecipazione del 21%, è uno dei più colpiti dalla crisi dell’azienda svedese. Il maggiore produttore automobilistico europeo ha progressivamente svalutato il suo investimento, che a fine 2023 ammontava a 693 milioni di euro, già in calo del 25% rispetto all’anno precedente. Nel 2024, la situazione è ulteriormente peggiorata, riflettendo i problemi di produzione di Northvolt e una domanda di veicoli elettrici in Europa meno forte del previsto. Inoltre, Volkswagen ha aumentato la distanza operativa dalla sua partecipata svedese, puntando sempre di più sulla sua controllata PowerCo, in joint venture con l’azienda belga Umicore. Questa joint venture, annunciata nel 2022, prevede un investimento di 3 miliardi di euro per produrre materiali chiave per le batterie in Europa, con l’obiettivo di raggiungere una capacità annuale di 160 GWh entro la fine del decennio, sufficiente per alimentare circa 2,2 milioni di veicoli elettrici all’anno. Inoltre, a luglio scorso, il colosso Vw ha firmato un accordo con Quantumscape, con sede a San José (California), per realizzare batterie al litio-metallo allo stato solido, con una capacità di 40 e fino a 80 GWh.
Volkswagen, nonostante preveda per il 2024 un margine operativo del 5,6% e un flusso di cassa netto di 2 miliardi di euro, non ha commentato direttamente l’impatto finanziario della bancarotta. Tuttavia, la svalutazione evidenzia le incertezze del settore e solleva dubbi sull’efficacia di investimenti così ingenti in un contesto industriale instabile.
Anche Goldman Sachs, secondo maggiore azionista di Northvolt con una quota del 19,2%, ha annunciato la svalutazione completa del suo investimento di 896 milioni di dollari entro la fine del 2024. Questo investimento, inizialmente visto come una scommessa su un mercato in crescita, si è rivelato insostenibile, con negoziati falliti per un primo tentativo di salvataggio da 300 milioni, tra Northvolt, investitori e creditori, e una liquidità sufficiente per appena una settimana di operatività.
Nonostante ribadisca l’importanza della diversificazione, Goldman Sachs ha dovuto affrontare un duro colpo alla fiducia nel settore europeo delle batterie, considerato fondamentale per la transizione energetica globale.
La crisi di Northvolt, che ha portato al licenziamento di 1.600 persone in Svezia a fine settembre, un quinto della forza lavoro, evidenzia le fragilità strutturali del settore. Con un debito pubblico elevato e una crescita economica globale stimata al 3,2% per il biennio 2024-2025, finanziare la transizione energetica rimane una sfida cruciale. Il Fondo Monetario Internazionale segnala che il divario di investimenti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile è passato da 2,5 trilioni di dollari nel 2015 a oltre 4 trilioni all’anno.
La Commissione Europea, attraverso il Clean Industrial Deal, mira a rafforzare l’autonomia tecnologica e a supportare il settore con strumenti finanziari innovativi e una cooperazione più stretta tra gli Stati membri. Tuttavia, il caso Northvolt mette in luce l’urgenza di bilanciare ambizioni e realismo, assicurando un utilizzo più efficace delle risorse.
La bancarotta di Northvolt rappresenta un campanello d’allarme per l’intera industria europea delle batterie. Nonostante gli imponenti sforzi per costruire un ecosistema competitivo, persistono significative sfide legate alla domanda, alla capacità produttiva e alla sostenibilità finanziaria. Per l’Europa, questo rappresenta un passo indietro che rafforza la necessità di rivedere le strategie industriali, puntando su una transizione più realistica e su una collaborazione più stretta tra settore pubblico e privato. Solo così sarà possibile tradurre le ambizioni della transizione energetica in risultati concreti, evitando che fallimenti di questa portata diventino la norma.
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Esperta di finanza con oltre dieci anni di esperienza, Claudia Rossi fornisce consulenze strategiche su investimenti e gestione finanziaria nel contesto frontaliere. Laureata alla Bocconi, aiuta i nostri lettori a navigare il complesso mondo finanziario tra Italia e Svizzera.