Sindacati svizzeri contro l’aumento delle imposte ai frontalieri

Il Comitato cantonale dell’Unione sindacale svizzera-Ticino e Moesa respinge la decisione del parlamento ticinese di aumentare le imposte ai frontalieri, portando il moltiplicatore comunale per il calcolo delle imposte alla fonte dei frontalieri che rientrano quotidianamente al loro domicilio dal 78% al 100%.

Secondo l’USS, la decisione riflette il clima di profonda ostilità nei confronti dei frontalieri, da mesi fomentato dalle destre populiste e xenofobe. Il Comitato cantonale dell’USS stigmatizza questo clima di ostilità e di squallido populismo a cui è da ricondurre la decisione di aumentare le imposte dei frontalieri. In un comunicato, l’USS afferma che la decisione non risolverà nessuno dei gravi problemi che investono oggi il nostro mercato del lavoro.

Secondo l’USS, la decisione del parlamento risulta inoltre iniqua in quanto tratta in modo diverso i frontalieri rispetto ad un’altra categoria di stranieri presenti nel nostro paese, i cosiddetti globalismi ai quali vengono generosamente e ingiustamente concessi i forfait fiscali. A taluni – afferma l’USS – , ai facoltosi milionari si elargiscono regali, ai salariati già in difficoltà si diminuisce invece il potere di acquisto.

Il Comitato cantonale e le Federazioni sindacali valuteranno come opporsi alla decisione considerando anche l’ipotesi di un ricorso al Tribunale federale. I delegati riuniti a Bellinzona hanno nuovamente ribadito che la via per contrastare le distorsioni nel mercato del lavoro passa dal rafforzamento dei contratti, dall’introduzione di minimi salariali che tutelino tutti i lavoratori dal dumping salariale e dal rafforzamento delle sanzioni nei confronti di quei datori di lavoro che sfruttano senza scrupoli i propri dipendenti.

Datori di lavoro – si afferma nel comunicato dell’USS – che, complice l’assenza di minimi salariali legali e dei contatti collettivi in tutta una serie di rami economici, stanno conducendo una politica salariale che sta trasformando il Ticino in una sorta di zona franca nella quale si sta sviluppando un’economia parallela con salari da fame.

Red./Comunicato