L’industria ticinese in difficoltà a causa del franco forte
Il quadro della situazione economica disegnato dall’Associazione degli industriali ticinesi in vista dell’assemblea generale dell’associazione è denso di nubi: se il clima di instabilità valutaria dovesse perdurare, il 27% delle ditte prevede la possibilità di operare riduzioni del personale.
La situazione degli affari si è deteriorata in tutte le regioni svizzere, si afferma nella relazione presentata dal presidente dell’Associazione Daniele Lotti. Il Ticino sta vivendo la situazione più negativa di tutta la Svizzera. Ad essere in affanno è soprattutto il commercio estero, uno dei settori chiave dell’industria svizzera: nei primi 3 mesi dell’anno le esportazioni sono calate dell’1.4%. Secondo l’Aiti qualsiasi nuova spinta della nostra valuta verso l’alto comporterebbe gravi conseguenze per il settore industriale ticinese.
Misure come lavoro ridotto, aumento produttività, riduzione dei salari e congelamento della distribuzione degli utili sono già in atto in numerose aziende. Delocalizzazione e riduzione della manodopera incombono all’orizzonte.
In questa situazione gli industriali ticinesi chiedono all’autorità politica un atteggiamento diverso rispetto a quello mostrato negli ultimi tempi, caratterizzato da una campagna elettorale permanente che dava ampio spazio a soluzioni illusorie a spese della concretezza. Per far fronte alle difficoltà si chiede a governo e parlamento di tornare alla alla progettualità e alle visioni, in particolare rafforzando le condizioni quadro, implementando la riforma dell’imposizione delle imprese e continuando l’impegno a favore del risanamento delle finanze pubbliche.
Accanto a interventi atti a migliorare il rapporto fra formazione professionale ed esigenze professionali delle imprese si chiede di considerare un maggiore equilibrio fra salvaguardia del mercato del lavoro e crescita economica, di aumentare la sinergia fra pianificazione e utilizzo del territorio e crescita economica, e la riduzione delle leggi e della burocrazia.
Red./Comunicato
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