I frontalieri rubano il lavoro ai ticinesi?

Per quel che riguarda il settore della costruzione, la risposta è no. Il numero dei frontalieri occupati nel settore è aumentato, è vero, ma è aumentata anche la cifra complessiva degli addetti: la proporzione fra stranieri e svizzeri è così rimasta praticamente costante.

Questi dati emergono da uno studio dell’Istituto per le ricerche economiche sul mercato del lavoro in Ticino, presentati dal ricercatore Moreno Baruffini alla conferenza su bilaterali e occupazione nell’edilizia organizzata dalla sezione ticinese della Società svizzera degli impresari costruttori in occasione di Edilespo, l’annuale vetrina dell’edilizia ticinese.

Quanto siano indispensabili i frontalieri al settore della costruzione è stato messo in evidenza anche dal segretario della società dei costruttori Edo Bobbià, che ha sottolineato come “senza questa manodopera gli imprenditori non avrebbero

Edo Bobbià

potuto raggiungere quei risultati positivi che hanno ottenuto.” Nell’edilizia, anche questo risulta dallo studio, si è addirittura riscontrato una diminuzione della disoccupazione.

In generale, dopo l’entrata in vigore dei bilaterali l’economia ticinese ha conosciuto una notevole crescita, appena scalfita dalle fluttuazioni della congiuntura. Dal 1998 al 2008 i posti di lavoro in Ticino sono aumentati da 151mila a 178mila. Dell’aumento degli impieghi (+27mila) hanno approfittato sia i frontalieri che i residenti.

La pubblicazione dello studio completo, attesa per le prossime settimane, dovrebbe permettere di capire se la crescita è avvenuta al costo di una pressione al ribasso sui salari. Nei settori non sottoposti ai contratto collettivi di lavoro, o dove non sono stati resi obbligatori i salari minimi, ciò è sicuramente avvenuto.

Lorenzo Quadri

È il caso del settore terziario, dove secondo Lorenzo Quadri, municipale di Lugano e Gran consigliere della Lega dei ticinesi, si è riscontrato una crescita ingiustificata del numero dei frontalieri, in quanto ci sarebbero abbastanza ticinesi per coprire la domanda. Quadri ritiene che in questi settori, nelle assunzioni si dovrebbe tornare a dare la precedenza ai residenti.

L’avvocato Michele Rossi, delegato per le relazioni con Berna e con Roma delle associazioni dell’economia ticinese, confida piuttosto nell’efficacia delle misure accompagnamento previste dai bilaterali, come i controlli sul mercato del lavoro e i provvedimenti contro il dumping salariale. “La concorrenza deve avvenire nel campo della qualità, non in quello dei prezzi,” ha affermato Rossi.

Reciprocità a senso unico

Dove i bilaterali hanno per ora fatto cilecca è il campo della reciprocità. Mentre il mercato ticinese è diventato più accessibile agli imprenditori stranieri, l’accesso al mercato italiano da parte degli imprenditori ticinesi rimane difficile. Va anche detto che la situazione economica favorevole di cui godono in patria gli imprenditori svizzeri non li ha spinti a tentare la strada dell’espansione all’estero più di tanto. Ma quelli che ci hanno provato hanno incontrato notevoli difficoltà.

Gli ostacoli rilevati sono da una parte una burocrazia già di per se complessa, che non è né abituata, né particolarmente interessata a confrontarsi con le esigenze particolari degli imprenditori svizzeri, che non sono né italiani, né comunitari. Dall’altra c’è la difficile situazione economica italiana, che rende difficile, soprattutto a distanza, procedere all’incasso delle fatture emesse per il lavoro svolto.

Sull’esistenza di queste difficoltà, a cui si aggiungono le trovate del Ministero dell’ economia italiano per cercare di frenare l’evasione fiscale, è d’accordo anche Michele Rossi. La Svizzera, rileva Rossi, applica diligentemente gli accordi bilaterali, mentre da parte italiana molto sovente ciò non viene fatto o viene fatto in modo molto approssimativo. Per segnalare all’Italia che è anche nel suo interesse rispettare gli accordi, sarebbe forse il caso, propone Rossi, di “diventare un po’ più italiani e un po’ meno svizzeri”.

Michele Andreoli