Claudio Casartelli, presidente Confesercenti Como

Claudio Casartelli

A livello italiano Confesercenti dipinge un panorama preoccupante e che preconizza la totale scomparsa entro dieci anni delle aziende del commercio al dettaglio. Una situazione, aggravata dalla crisi e dalla spietata concorrenza dei grandi centri commerciali, che si riflette pure nell’ambito dei centri urbani insubrici, dove si contraggono drammaticamente i negozi di vicinato, con rischi anche per la vivibilità e la sicurezza. Come fronteggiare la situazione in atto e dar modo alle realtà commerciali locali di continuare ad attrarre clientela? Le risposte a Infoinsubria da Claudio Casartelli, presidente di Confcommercio Como, che chiama in causa per prima la buona politica.

In base ai vostri studi, qual è la realtà attuale dei negozi nell’ambito dei centri storici dei capoluoghi insubrici e quali ne sono i fattori caratterizzanti ?

Attualmente nelle provincie di Como e Varese sono attivi rispettivamente 15 e 16 esercizi di frutta e verdura, 24 e 16 macellerie. In città a Como c’è un pescivendolo e ce ne sono 3 a Varese. Ed infine 11 panifici a Como e altrettanti a Varese. I dati sono relativi alla metà del 2012, ma indicano la chiara contrazione del numero dei negozi di vicinato e non stiamo parlando del settore abbigliamento ed altro. Basta fare una passeggiata nella città murata per rendersi conto dell’abbandono di molte vie da parte dei negozianti con conseguenti serie su vivibilità e sicurezza. E’ la conseguenza della crisi e del momento che viviamo, ma sopratutto è la triste conseguenza della indiscriminata apertura dei grandi centri commerciali e della grande distribuzione. Non la demonizziamo, ma ci sono dei limiti che sono stati ampiamente travalicati. Del resto ci sarà una ragione se proprio nella giornata di martedì 25 scorso la Regione Lombardia ha provveduto ad emanare il blocco del rilascio di nuove aperture dei centri commerciali!…

Che strategia attuare per far fronte alla situazione creatasi e come attrarre la clientela, di qua e di là del confine?

La prima strategia è quella di bloccare ogni nuovo impianto di grande distribuzione. Per il resto il commercio locale ha dimostrato in tanti anni di avere le competenze e la professionalità per attrarre tanta clientela, anche straniera e svizzera in particolare. Bisognerebbe solo non fargli pagare troppe tasse e consentirgli di avere meno carico contributivo ed oneri per assumere un dipendente; o, per cominciare a livello locale, non calcare la mano sulla Tares. E questo dipende dalla politica, dalla buona politica. Il fatto che, sempre per restare in loco, la Regione Lombardia, su proposta della nostra consigliere Daniela Maroni, abbia votato pressoché all’unanimità la richiesta di ritornare alle chiusure domenicali governate dalla Regione, dimostra che si comincia a diffondere la coscienza su quanto grave sia la situazione del commercio e delle piccole imprese.

Quali le conseguenze, a vostro giudizio, sulla qualità della vita cittadina in seguito alle chiusure e o al frequente turn over dei negozi?

La domanda che ci facciamo è semplice: ma cosa ci guadagna lo Stato dalla chiusura di un impresa? da una famiglia in difficoltà? da un credito bancario non concesso e quindi una sofferenza per l’imprenditore? E’ ora di porci la questione se le esigenze dei cittadini e quelle dell’apparato statale non siano in palese contraddizione. Dare soldi allo Stato per pagare debiti e non avere servizi efficienti, non vedere tagli e risparmi significativi, vedere aumentare il costo della vita e la disoccupazione sono fatti che rappresentano una miscela ad alto rischio anche per la democrazia.

Pierangelo Piantanida