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Macché frontalieri!

10 novembre 2015 – 13:52Un Commento

(foto Infoinsubria)

Il luogo comune recita che in Ticino la disoccupazione sia più elevata della media nazionale a causa dell’alto numero di frontalieri. Dal confronto con la situazione a Basilea-città risulta piuttosto che questa disparità sia dovuta alle caratteristiche strutturali dell’economia ticinese. Vi proponiamo in merito la riflessione di Angelo Rossi, che pubblichiamo per gentile concessione di Azione, settimanale di Migros Ticino.

Molte volte una cosa può apparire più complicata di quello che effettivamente è, perché non si vuole cambiare il punto d’osservazione. Personalmente reputo che questa affermazione sia valida anche nei confronti del contestato rapporto tra evoluzione della disoccupazione e aumento del contingente di frontalieri in Ticino. Eccone la prova.

Se invece di chiederci se esiste un rapporto tra disoccupazione e frontalieri ci chiedessimo quali siano i fattori che determinano la disoccupazione in Ticino, che cosa troveremmo? Essenzialmente tre cose. In primo luogo che il tasso di disoccupazione ticinese di oggi è molto inferiore a quello che vigeva prima dell’introduzione della libera circolazione (2001). In secondo luogo che esiste, come ci si poteva attendere, una correlazione negativa tra crescita dell’economia regionale e disoccupazione. Questo significa che quando il tasso di crescita del Pil ticinese è elevato, il tasso di disoccupazione è basso e viceversa. Con una eccezione: il periodo 2004-2007 durante il quale il tasso di crescita fu elevato e la disoccupazione pure. In terzo luogo che il tasso di disoccupazione ticinese, di regola, è più elevato di quello medio svizzero.

Riassumiamo: la disoccupazione in Ticino segue l’andamento della congiuntura nazionale. I suoi alti e i suoi bassi non sono diversi da quelli che si registrano a livello nazionale. L’unica differenza con la media svizzera è data dal fatto che in Ticino il tasso di disoccupazione è, in media, di un 1% più elevato che a livello nazionale. Ma è chiaro perché, direbbero i sostenitori della tesi che la disoccupazione è legata al crescere del frontalierato: è perché in Ticino si occupano troppi frontalieri.

Per vedere se questa tesi è fondata, o no, basterebbe allora confrontare l’evoluzione della disoccupazione in Ticino con quella di un cantone che occupa pure un numero elevato di frontalieri, per esempio il canton Basilea-città. Se fossero i frontalieri a gonfiare la disoccupazione dovremmo trovare anche nel caso di Basilea-città un tasso di disoccupazione superiore alla media. E invece non è così. Abbiamo esaminato i valori del tasso di disoccupazione dei due cantoni nel periodo 1994-2013 e abbiamo riscontrato che gli stessi differiscono in media di un 1,1%.

In altri termini, il tasso di disoccupazione del Ticino è in media sempre superiore al tasso di disoccupazione di Basilea-città di un 1,1%. Questo significa che la disoccupazione di Basilea-città è in generale leggermente inferiore alla media nazionale. Nel periodo precedente l’introduzione della libera circolazione, ossia dal 1994 al 2000, il tasso medio di disoccupazione del Ticino era addirittura di un 2% superiore a quello di Basilea-città. Dal 2001 al 2013, la differenza si è ridotta a 0,67%.

Volessimo cercare di spiegare perché il tasso di disoccupazione ticinese è sempre superiore a quello basilese non andremmo di certo a prendere un fattore come i frontalieri, perché questi sono numerosi in Ticino come a Basilea-città. Guarderemmo piuttosto alle differenze di struttura delle due economie regionali. Due rami molto importanti dell’economia ticinese come l’edilizia e il turismo sono purtroppo condizionati da un’attività stagionale. Nei mesi invernali la loro attività si riduce di molto e il numero degli occupati altrettanto. Il cattivo tempo come fattore determinante della disoccupazione è molto più importante in Ticino che a Basilea-città. Molto probabilmente questo fattore basterebbe a spiegare le differenze nel tasso di disoccupazione tra i due cantoni.

E i frontalieri? I frontalieri ci sono in Ticino come a Basilea-città. In Ticino come a Basilea-città sembrano aver contribuito a far diminuire il tasso di disoccupazione, almeno rispetto ai valori che aveva raggiunto nella seconda metà degli anni Novanta dello scorso secolo. A Basilea-città sono in generale benvenuti e non si vorrebbe mai farne a meno. In Ticino no: ma questa ostilità ai frontalieri non si può spiegare con ragioni economiche.

Angelo Rossi

 

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Un Commento »

  • Andrea scrive:

    Non concordo.
    A differenza del resto della Svizzera, fatta forse eccezione per alcuni Cantoni romandi che confinano con la Francia e ad alcuni Cantoni tedeschi, anche se il tutto in misura parecchio inferiore, in Ticino i frontalieri, quasi tutti italiani, non sono complementari all’offerta di manodopera residente, locale, sono invece in concorrenza per i posti di lavoro ambiti dai residenti ticinesi, il che provoca dumping degli stipendi. Qualche cifra: negli ultimi 12 anni in Ticino sono stati creati circa 27′500 posti di lavoro, pari quasi all’aumento di frontalieri; gli impiegati di tipo amministrativo, esempio di settore a cui mi riferisco sopra, nello stesso periodo sono aumentati del 390%, cioè quasi quadruplicati e ad oggi 1/4 degli impiegati frontalieri in Svizzera lavora in Ticino, dove i lavoratori sono 185′000 persone, il 4,4% del totale svizzero (e la popolazione residente è circa il 5% della popolazione totale svizzera). Inoltre non concordo nemmeno sul fatto che la disoccupazione in Ticino sia bassa. Anzitutto non è chiaro quale dato considera Rossi: in Svizzera sono rilevati due dati, il dato Seco, che si basa su un concetto interno, cioè unicamente sugli iscritti agli uffici di collocamento, ed il dato Ilo, che è quello usato in tutta l’Ue e con cui fare i confronti con l’estero, ad esempio in Ticino tipicamente l’Italia e la Lombardia, nonché il più rappresentativo e guarda caso il più alto. Secondo gli ultimi dati, di un paio di mesi fa, in Ticino il tasso di disoccupazione Ilo era del 6,8%, pari a 12′300 persone (ricordo che oggi in Ticino ci sono 185′000 lavoratori, compresi i frontalieri, che sono 62′225, più di 1/3 della manodopera totale), quindi non proprio pochi (media svizzera: 4,9%, pari a 236′600 persone).
    Faccio inoltre notare che il Ticino ha una situazione particolare, dove la pressione sui lavoratori è maggiore a causa del frontalierato (domanda degli imprenditori ed offerta dei disoccupati italiani, nb: non sto incolpando questi ultimi), per cui si creano situazioni differenti rispetto al resto della Svizzera per cui non esiste ancora una rilevazione statistica precisa, come ad esempio il rilevamento delle persone che una volta terminato il periodo del sussidio di disoccupazione finiscono in assistenza sociale, i cui casi negli ultimi anni in Ticino sono aumentati del 43%, pari a circa a 2500 persone. Il sussidio dell’assistenza sociale è percepito anche, ad esempio, da chi è invalido ma non credo proprio che in Ticino siano improvvisamente comparsi migliaia di invalidi, quindi v’è un “travaso” dalla disoccupazione, le cui cifre sono così alleggerite poiché le persone che finiscono in assistenza scompaiono dalla disoccupazione. Poi ci sono ancora coloro che non sono sono conteggiati nemmeno dal tasso di disoccupazione Ilo, come coloro che stanno facendo una riqualifica professionale (seconda formazione) perché non trovano lavoro con la loro formazione attuale, coloro che per trovare lavoro sono dovuti emigrare in Svizzera tedesca o romanda, e sono parecchi viste le migliori condizioni degli stipendi e le maggiori possibilità di formazione e di carriera, i sottoccupati, persone che lavorano con una percentuale di occupazione del 50% e vorrebbero lavorare con percentuali superiori ed i working poor, persone che nonostante lavorino non riescono ad arrivare a fine mese. Situazioni queste che concernono soprattutto, ma non solo, i giovani di 15-24 anni, la cui disoccupazione Ilo in Ticino si aggira attorno al 15%, anch’essa in aumento, le persone con più di 50 anni, sostituite da un frontaliere più giovane poiché quasi sempre quest’ultimo costa meno in termini di stipendio e di prestazioni sociali come Avs e cassa pensione (le trattenute dallo stipendio per capirci) e, specialmente negli ultimi due casi, le famiglie monoparentali (con un genitore) e gli stranieri.
    Tenendo conto anche ti tutti questi fattori secondo me le persone che oggi in Ticino hanno difficoltà a rapportarsi con il mondo del lavoro sono non meno di 20′000 persone.
    L’analisi di Rossi non tiene conto di tutti questi fattori, quindi secondo me risulta essere incompleta, di conseguenza le conclusioni ed il titolo dell’articolo sono fuorvianti.

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